«Dorati giorni di quiete silente, solitudine claustrale! Nel profondo del cuore riconoscente vi ho scolpiti! Tutta sola con i miei pensieri, mai interrotti da voci stonate, giorno e notte il silenzio più profondo. Felice è chi appartiene solo a sé.» La parabola dell’imperatrice Sissi è stata apparentemente una parabola discendente: da giovane sovrana bella e ammirata a figura instabile, psicologicamente fragile, malata, inquieta e in eterna fuga dal mondo. Amava la solitudine, si considerava un’isola, e adottò ogni misura per rispettare questo profondo desiderio di autoconservazione. La sua fine tragica, per assassinio — ad opera di un anarchico deciso a colpire i vertici di un’aristocrazia ormai in evidente declino — la elesse infine a mito. Divenne l’imperatrice bellissima, triste e sfortunata. Sissi fu in realtà dotata di un carattere indomabile: rifiutò l’etichetta e il mondo a cui le era stato imposto di appartenere, per dar voce al proprio spirito e seguire istinti e passioni che restituissero un senso alla sua vita. Contraria a protocolli ed etichette, non riuscì mai a trovare pace, non si fermò mai, viaggiò senza sosta, sempre alla ricerca di una vitalità di cui si sentiva derubata.
Di Lorenza Tonani.
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